| Pubblicato su: | La Voce, anno I, fasc. 1, pp. 1-2 | ||
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| Data: | maggio 1908 |

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In questi ultimi mesi non abbiamo avuto, in Italia, nessuna presentazione nuova di forestieri illustri. Federico Nietzsche fa da riempitivo nelle terze pagine dei quotidiani; WelIs ha preso modestamente il posto di Venne nelle librerie private e circolanti delle classi medie intellettuali. Molti leggono con piacere, ma senza troppo entusiasmo, le traduzioni italiane e francesi di Rudyard Kipling e soltanto alcuni delicati preconizzano la gloria futura del biografo di Jean Christophe. Oscar Wilde, dopo esser appassito nelle manine inguantate degli esteticucci nostrali, sta per passare in quelle sudice d'inchiostro degli avvocati e dei pretori.
C'è un quasi silenzio; l'importazione si rallenta. L'Italia può parlare.
E cosa ha da dire l'Italia a tutta codesta gente? A loro niente, ma qualcosa a sè stessa, o, meglio, a qualcuno dei suoi figliuoli. L'Italia, in questo momento, parla per bocca mia, e dice cosi:
«Da cinquant'anni — per non farla lunga — mi son vista capitare per la casa una ventina di grandi genii forestieri, che mi sono stati annunziati come l'ultima parola della terra e come la novissima rivelazione dell'umanità. Ogni tanto qualcuno dei miei m'è venuto tra i piedi, mettendo tutto a rumore, portandomi innanzi per la mano uno di questi grandi transalpini o transrnarini. Un giorno era Comte col positivismo dietro; un altro giorno Spencer coll'evoluzione in tasca; un terzo giorno Shelley col relativo Keats; o Heine col suo caro orso Atta Troll; o Walt Vhitrman con la rumorosa Manhatta e coll'io -- mondo; o Hegel colla sua unità degli opposti; o Zola colle sue maialate di stiratone e di alcoolisti; o lbsen colle sue norvegesi filosoficamente adultere; o Maeterlinck coi suoi misteri monosillabici; o Carlyle a braccetto col suo Diogene Merda-di-Diavolo; o Ruskin, pastore della Chiesa Estetica Riformata; o Stirner colle sue coglionerie rigorosamente logiche; o Nietzsche con i poetici schiamazzi di tedesco ubriaco di grecolatinità; o Darwin colle sue pazienti immaginazioni di genealogia animale; o Marx colla sua spiritosa analisi della società, tanto finemente satirica da esser presa per opera di scienza; o tanti altri che non nomino per non annoiarvi.
«Li ho visti sfilar tutti ad uno ad uno e li ho ricevuti bene. Ho tradotto i loro libri; li ho commentati; ho riempito le mie riviste con le loro idee e i loro ritratti; ho scritti libri sui loro libri; ho fatto entrare nella mia vecchia ed onorata lingua qualcuna delle loro frasi o parole (struuggle for live; legge bronzea dei salari; superuomo; culto degli eroi; religione della bellezza ecc.). Tutti quanti dicevano che bisognava mettersi in regola colla cultura europea dalla quale m'ero un pò allontanata dopo il seicento (ma era proprio vero?); che lo scompiglio nato per mandar via d'Italia i soldati stranieri ci aveva distratti dall'altra cura, non meno importante, di far venire quaggiù i grandi spiriti stranieri; che s'era buona cosa e patriottica prendere a pedate i tedeschi armati di fucile e fabbricare in casa macchine e tessuti per poter fare a meno della roba inglese non era meno buona e patriottica cosa studiare i filosofi tedeschi e bearci l'anima coi poeti inglesi.
«Tutte queste ragioni — e altre — mi persuadevano e mi persuadono anche oggi. Non mi pento di questi rinnovati banchetti forestieri, anche se hanno prodotto indigestioni e stitichezze e hanno sverginata senza remissione la purezza del mio troppo, ahimè, gentile idioma. Troppe idee, troppe immagini, troppe anime, troppe scoperte sareboero sconosciute se non avessi così spesso spalancato l'uscio a codesti barbari trionfanti. Che in loro nome si siano vendute a dozzine nelle mie fiere bamboccerie e bestialità di vari colori; che sotto i loro auspici sian nate voghe e mode, sciocchissime e ridicolissime, non vuoi dir nulla. Ogni grand'uomo è come una bella quercia che non può impedire il crescere ai suoi piedi d'ispidi funghi e d'insignificanti fili d'erba — sol dai polloni giovani vien su qualche volta il ben nocchiuto erede.
«Dunque niente rimproveri a loro. Tanti inchini e moltissimi ringraziamenti.
«A voialtri soltanto, figlioli miei, voglio dir qualcosa. E vi dico, scusatemi tanto, una cosa vecchia, ed è questa ricordatevi un po' più spesso dei vostri babbi e, prima di prendere un mattana per una «rivelazione» che ci venga dal Nord o dall' Est, leggete, che Iddio vi benedica, anche qualche vecchio libercolo italiano.
«Intendiamoci bene: non vi incoraggio ad anmalarvi di chauvinisme, di pangermanismo o di altri esose pesti di codesto genere. Il nazionalismo frenetico non è malattia che ci cada bene a viso. Io spero che qualcuno si metta, un giorno o l'altro, a rifare il Primato, ma lo rifarà, spero, col più stitico metodo storico, senza esagerazioni, senza montature, senza rettorica filosofeggiante. Se Dio vole non abbiamo bisogno di far dei torti alla storia perché gli italiani faccian ottima figura nella storia dello spirito umano.
«Volevo dir soltanto questo: che se voialtri, invece di legger soltanto, o quasi sempre, libri stranieri o libri d'italiani su stranieri, leggeste anche, non soltanto a scola o nelle antologie, i nostri vecchi scrittori, tanto i celebri quanto quelli che meriterebbero di esser tali, ci trovereste forse, spesso, se non sempre, parecchie di quelle idee che, come inaudite novità, state a sentire a orecchi ritti quando vengono strombettate nella lingua dell'oui, dell'ja o dell'yes. Faccianao, tanto per mettervi un po' di coraggio, qualche esempio.
«Fino a pochi anni fa s'è fatto un gran parlare di filosofia positiva e questa è stata portata in trionfo per le piazze e per le università come il just out del pensiero. Ma se c'era qualcuno che avesse letto davvero, per caso, tutto Telesio e tutto Galileo, poteva rispondere: Ma cosa ci venite a contare? Tutto quel che c'è di buono in codesto pasticcio lo sappiamo da un pezzo. Tante grazie per il ricordo ma levatevi di torno.
«Pigliamo un altro caso: il cosiddetto idealismo tedesco (la guerra dei trent'anni della filosofia). Non c'è niente da dire circa Kant, Fichte, Schelling ed Hegel. Sono stati delle brave persone e hanno detto cose che quelli che le intendono giudicano meravigliose. Oggi c'è chi li vuol risuscitare in Italia. Può darsi che sia bene, ma non sarebbe bene anche studiar sul serio Giordano Bruno e Giambattista Vico e non seguitare a far del primo un qualsiasi labaro massonico e del secondo un timido precursore della sociologia? È bensi vero che quelli stessi che ci ripresentano Hegel e i suoi padri e fratelli fanno di tutto per far leggere e capire anche gli antichi idealisti paesani, ma dove sono, eccetto che in loro, le traccio di questa lettura e di questo studio?
Passiamo ad un'altra cosa che ha fatto parecchio rumore negli ultimi tempi. Il modernismo italiano è nato dopo quello anglo-francese e se n'è nutrito. Senza far torto a un nessuno non conosciamo in Italia un Loisy o un Tyrrell. Ma perchè i nostri modernisti hanno aspettato l'imboccata da quelli forestieri? E perchè non hanno studiato e fatto conoscere quei cattolici italiani che, ben prima degli inglesi e dei francesi, si son trovati ai mali passi che tutti sanno? Casi di coscienza assolutamente simili a quelli dei neocattolici d'oggi si trovano in due grandissime menti del secolo XVII: in Galileo e in Fra Paolo Sarpi. Tutti e due son cattolici e voglion restar cattolici, ma nel primo c'è il caso del contrasto fra la verità scientifica e il testo biblico e nell'altro quello tra la potestà civile e quella religiosa. Tutti e due cercano di salvarsi e di salvare la Chiesa con delle ragioni e queste ragioni rassomigliano a molte di quelle che oggi i nostri preti avanzati o i nostri fervorosi neofiti s'immaginano d' inventare. E Sarpi non è stato accusato dall'Inquisizione per aver detto che dalla Genesi non si può ricavare la santissima trinità? E in Pomponazzi non sí ritrova la dottrina cara ai rnodernisti, dei vari mondi o piani di verità? Vòlete roba più antica? Cercate i sermoni morali di Franco Sacchetti e ci troverete delle critiche sugli abusi e costumi ecclesiastici che potrebbero essere scritte da un Murri o da un Buonajuti. Volete roba più recente? E allora ricordatevi di quel povero Scipione de' Ricci e vedrete che se l'avessero lasciato fare un certo modernismo sarebbe nato in Italia alla fine del settecento.
«Voialtri avete adorato lo Zola e ora vi godete in silenzio il Mirbeau. Non abbiate paura che vi sgridi: son due scrittori un po' bestiali e fanfaroni ma che hanno una certa robusta grandiosità. Ma perchè dunque tanti pochi rileggono, dopo la scuola, quei bei pezzi di prosa, sanguinosa, succosa, verista senza delirio, e realista senza teorie, che si trovano nelle novelle del Sacchetti, nei ricordi del Cellini o nelle lettere e nelle commedie di Niccolò Machiavelli? Forse vi piacciono le novellette nude e crude di Maupassant? Ma ce ne son delle più belle, perdio!, nel novelliere di Antonfrancesco Grazzini detto il Lasca e se non le leggete siete dei disgraziati.
«Voi tutti, spero, avrete letto quel meraviglioso libro ch'è il Sartor Resartus. Ma quanti fra voi hanno letto un capitolo del Galileo contro l'uso del portar la toga dove c'è tutta l'idea madre della filosofia degli abiti? È detta bernescamente, ma c'è. E prima di lasciare il Galileo eccone un'altra. In una delle ultime scritture ispirate o dettate da lui trovate nientemeno il caso di coscienza del dott. Stockmann del Nemico del Popolo di lbsen. Proprio lo stesso caso — si tratta anche lì di una sorgente. Manca, naturalmente, il dramma ma c'è per la meno l'antefatto.
«Ancora un altro e basta. Nietzsche era certamente una grande anima che non meritava lo strazio che ne hanno fatto gli elefantissimi universitarii e i mosconi dorati della filosofia per signorini audaci. Eppure io mi figuro che il suo pensiero sia il resultato del contatto di una povera anima debole cresciuta in una caserma luterana col mondo greco¬latino-italiano. Ciò che per noi è comune, chiaro, tanto naturale che non si sente neppure il bisogno di esprimerlo, apparve a quella mente settentrionale una luce improvvisa, una rivelazione profetica. Egli stesso ne rimase stordito e spaventato e intorno e codesti luoghi comuni della vita pagana e italiana accumulò
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sofismi e vaticini, immagini e leggende, e tanto fece che gl'italiani non riconobbero la saggezza implicita dei loro padri del Rinascimento e accolsero Zarathustra con tutta la riverenza dovuta a un dio straniero. Zarathustra, invece, non era altro che un'eco resa rimbombante ed oscura da una caverna germanica.
«Questa spiegazione di Nietzsche può essere sbagliata, ma resta sempre questo: che se voi leggete attentamente certe novelle del Boccaccio, se sfogliate le lettere familiari del Macchiavelli, se scorrete i ricordi del Guicciardini ci troverete alcune delle idee più caratteristiche e curiose del Nietzsche, messe in una forma assai più scherzosa e modesta, ma pur sempre facilmente riconoscibili. Per ritrovare l'idea che le virtù sono utili sopratutto a quelli che non le hanno, bisogna cercarla in una tirata contro i frati che c'è nel Decamerone; la teoria dell'eterno ritorno compare nel prologo di una commedia di Macchiavelli e in una lettera di Guicciardini. Ma che vuoi dire? Le idee, proprio quelle idee, ci sono. La differenza sta in questo: che i vecchi italiani non avevano il costume di stampare tutto quel che passava loro per la mente e se a loro veniva in testa qualche ghiribizzo, qualche trovata bizzarra, qualche profondo paradosso, non lo pigliavano troppo sul serio, non lo sviluppavano, non lo gonfiavano, non lo ricoprivano di gioie e di velluti come una madonna miracolosa, ma lo tenevan per sè o lo dicevano per caso agli amici o lo scrivevano in uno scartafaccio di pensieri senza far tante storie. Così è accaduto che le più belle cose che Galileo abbia detto sul metodo le ha dette perché dei «capi grossi» glie l'hanno fatte dire quasi per forza. Per lui eran cose tanto naturali che non le avrebbe enunciate, ma le balordaggini altrui l'hanno costretto a dire delle cose che non eran soltanto giuste ma nuove. Così è accaduto che i pensieri di Fra Paolo Sarpi, dove c'è dentro almeno mezza filosofia di Locke, son rimasti sconosciuti finora in uno zibaldone. Così è avvenuto...»
Basta. L'Italia non parla più. Parlo io e ripeto che non voglio invitare nessuno a fare il nazionalista arrabbiato della cultura. Ho un grandissimo piacere che si leggano e si studino i grandi stranieri, ma vorrei che si leggessero e studiassero un po' di più i grandi paesani. Si legga pure Comte, ma anche Galileo — si ammiri Loisy ma anche Sarpi — si citi Hegel ma anche Bruno — si traduca Nietzsche ma si goda anche Macchiavelli. Tutti diranno si fa, si fa. Non è vero. Noialtri abbiamo sempre in bocca le glorie della patria e poi leggiamo più volentieri e più spesso gli ultimi stranieri che i vecchi italiani. Si tratta di ridare all'Italia non soltanto il contatto colla cultura europea ma anche la coscienza storica della cultura sua, ch'è pur tanta parte della cultura europea. Io mi contento di poco: Nazionalisti no, ma Italiani si!
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