Articoli su Giovanni Papini

1985


Anna Teresa Ossani

A proposito del carteggio Antonio Baldini — Giovanni Papini fra il 1911 e il 1954

Pubblicato in: Italianistica: Rivista di letteratura italiana, vol. 14, fasc. 1, pp. 105-107
(105-106-107)
Data: gennaio - aprile 1985



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   Il temperamento ribelle e ptovocatorio di Papini, la sua indagine critica libera, almeno nelle intenzioni, dallo «spidocchiamento dei mangiapolvere» dell'«anfanamento dei problemaniaci» 1, vengono messi indirettamente a confronto con la raffinata e sorniona eleganza di `Michelaccio' Baldini: agli umorali atteggiamenti del primo si oppone e contrappone la grazia ironica del secondo in un carteggio tra i due che Marta Bruscia pubblica per le Edizioni Scientifiche Italiane 2, Il volume segue altri interventi della Bruscia su Baldini e su Papini 3, lavori preparatori al carteggio, ma che oggi valgono come misura di esso, punto di riferimento per cogliere — dietro l'apparente neutralità dell'introduzione — qualcosa di più e di diverso da una sia pur puntuale testimonianza. Quarant'anni di storia culturale e politica possono allora affiorare dietro questo diorama complesso e articolato dei tentativi, dei rapporti, delle iniziative culturali ed editoriali che seguono la fondazione della «Voce» e vanno fino al '54.
   Se fu un articolo di Papini, L'anima in poltrona, a scuotere Baldini assopito nella ristagnante vita romana, è pur anche vero che egli ammira subito, nel toscano, il «maestro di penna» 4; dal che ha inizio una relazione epistolare che non manca, almeno nei primi tempi, di ammiccamenti e pettegolezzi sull'ambiente romano (lettera del 15 maggio 1914) 5.
   Nel 1915, in una bella lettera di Baldini soldato, si misura la distanza da Papini, «benché» ci siano ancora, per il toscano, attestazioni di «affetto» e di «curiosità» per ogni suo intervento:

Carissimo mio Papini,
Cecchi mi ha scritto di una vostra «Vergogna» in modo da farmi venire una grandissima voglia di conoscere anche questa vostra pagina. Non vogliatemi credere né troppo astuto né troppo ingenuo, facendovi il nome di Cecchi in capo a questa mia, dopo quanto voi avete scaricato su di lui. Ho perso il gusto delle sfumature, e tanto più il gusto delle dispute letterate a queste zone bruciate dove mi hanno portato. Ve l'ho scritto perché magari vi potreste prendere la pena di fare un po' meglio adesso che siamo tutti dispersi e impegnati altrove, giustizia. Poi c'è il desiderio mio di farmi vivo con qualcuno dei cari, e il desiderio di sapere qualcosa di voialtri, che in pace eravate gran parte delle mie ore. Ho fatto un mese di campo, un mese di trincea, ora faccio un mese di scuola militare, poi, se vivrò vedrò: certo che tengo gli occhi ben aperti e le orecchie. Vorrei essere ricordato a Soffici, a Palazzeschi. Siccome le «stampe» così alla spicciola non possono arrivarmi, bisognerebbe — se volete



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acconsentire — che mi mandaste questa vostra «vergogna», della Riviera, in un ritaglio in busta chiusa. Perdonate questa curiosità all'affetto che per voi mi dura assai vivo, benché... Ma oggi non trovo più i benché. Per me, ancora non ho trovato modo di scrivere un rigo: e ci ho messo più oggi della buona volontà, perché al rigo non venisse la voglia d'essere scritto.
Vostro aff.mo

Antonio Baldini soldato 6


L'esperienza bellica fu, per Baldini, un campo di osservazione estremamente importante, che gli consentì di «sapere cosa si vuole e si può dire» 7 e di offrire, con Nostro Purgatorio, «una delle massime testimonianze letterarie della prima guerra mondiale» 8. Davanti all'apologetica adesione di Papini alla guerra e, poi, al suo rifiuto, ecco emergere invece, in Baldini, il senso di un nuovo cammino da percorrere «in tempi meno pettegoli»: cammino dell'uomo e dell'arte, «serietà» e «moralità» contrapposte al «partito preso della novità» 9, ritorno alla linea della tradizione, agli amati autori, Carducci in primis. Proprio la recensione di Baldini a L'uomo Carducci di Papini mette in luce una posizione dissimile, non solo o non tanto nel valutare Carducci (il Carducci satanico, battagliero di Papini ben poco ha a che fare con il «poeta della poesia pura e vera» di Baldini), quanto nell'impostazione stessa dell'opera letteraria e critica. L'intento divulgativo di Papini pare a Baldini «piuttosto ozioso» e il libro in genere gli sembra «stanco». Giustamente la Bruscia sottolinea come «alla vigilia della `Ronda', che nei suoi presupposti gli apparirà l'ambiente più consentaneo a coltivare ed esprimere l'esigenza letteraria che era andata maturando fin dal Pastoso, Baldini è [...] in grado di guardare con occhio asciutto ciò che Papini aveva significato per i giovani della sua generazione; il rilevare che la lezione rischiava di esaurire la sua carica vitale non significava screditarne o addirittura negarne l'apporto, quanto piuttosto reclamare una conferma, che non ci sarà» 10.
   La fine dell'«apprendistato» 11. di Baldini e insieme la nuova stagione papiniana, il momento di riflessione che precede la conversione (la Bruscia osserva come «i grandi rivolgimenti spirituali» non interessassero Baldini, propenso, piuttosto, «ad una cordiale convivenza con gli uomini e ad una liberale disposizione verso gli eventi») spiegano forse la penuria di lettere (cinque) tra il 1918 e il 1931, anno in cui si chiude la prima parte di questo carteggio.
   Dal 1931 al .43 emerge, nel volume, la figura di Papini: Baldini, redattore capo della «Nuova Antologia» (ora diretta da Federzoni 12) ammette (lettera 33) di aver pensato subito alla «firma» di Papini per la rivista.
   Il contributo che Papini diede alla «Nuova Antologia» fu in linea con quanto Federzoni gli chiedeva: «articoli che facciano chiasso e facciano saltare i lettori sulla


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seggiola» (lettere 81,82,86) e contribuì ad introdurre un po' di pepe nell'ovattata atmosfera letteraria romana. I gravi problemi del momento s'intravvedono tra le righe: da quello della libertà stessa dello statuto letterario all'indipendenza della rivista, ormai considerata quasi una «emanazione di palazzo», fino alla necessità di non scontentare «L'Impero» e «L'Osservatore». Papini, oramai «ispiratore e nume» di «Frontespizio» (su cui passavano spesso interventi di Papini già comparsi sulla «Nuova Antologia») può essere considerato anche in questa luce come non secondario elemento di raccordo tra Firenze e Roma nell'ipotesi convergente di una «riacquisizione dei compiti dell'intellettuale-guida della Nazione» 13.
   Gli interventi di Papini, spesso provocatori (fin da quello iniziale Il Croce e la croce — del 1° marzo 1932), talora divulgativi, non mancano di apologetica al regime (lettera del 26 novembre 1938): generosità e immodestia, carisma e forza d'urto connotano l'uomo e il letterato 14. Baldini invece, sempre più «lettore-talpa», è in ombra in questa seconda parte del carteggio, che vede l'amicizia tra i due allargarsi ai componenti delle rispettive famiglie. Diventato accademico d'Italia anche Baldini, il rapporto sembra farsi più affettuoso, più privato ed intimo.
   Connotazione che vale anche per l'ultima parte del carteggio (1943-54) dove la sfera privata domina su quella pubblica: le lettere si fanno meno stimolanti dal punto di vista culturale e si esauriscono, spesso, in richieste di articoli per la pubblicazione sulla «Nuova Antologia» (quelle di Baldini) o di recensioni (quelle di Papini).
   Baldini, che pure rifugge da «furori morali ed evangelici», non può non riconoscere, alla morte di Papini, come la «smania» del toscano «di lasciare gli uomini un po' meno bestie» di quanto li avesse trovati (lettera del 12 gennaio 1946) abbia profondamente inciso su una situazione culturale e politica, e vede in lui «un animatore, uno spronatore a considerare altamente il dono della vita dello spirito» (lettera a Giacinta e Viola Papini del 9 luglio 1956).
   Un carteggio, insomma, che vale la pena di conoscere e che si apprezza anche per la fitta rete di note che precisano e rinviano ad articoli e a saggi più o meno noti dei due corrispondenti.


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